Gershom Scholem
L’idea messianica nell’ebraismo
<<Come il chicco di grano deve marcire nella terra prima
di poter germogliare, così le azioni dei “credenti” devono “marcire” affinché
possa germogliare la redenzione».
Così scrive Scholem nel saggio che costituisce il cuore di questo volume, La
redenzione attraverso il peccato, sintetizzando, appunto, la dottrina
paradossale del «santo peccato» che era stata sviluppata dal sabbatianesimo
radicale: al redentore, al più santo fra gli uomini, spetta il compito di
immergersi nell’oscurità del male e «riscattare le scintille divine che vi
sono ancora imprigionate».
Proprio al movimento sabbatiano e alle sue propaggini più radicali Scholem
dedica alcuni dei fondamentali saggi contenuti in questo volume, e non con
l'atteggiamento di disprezzo e di condanna che aveva caratterizzato sino allora
la storiografia ebraica, bensì con profondo interesse, sull'onda di quella «scintilla
di emozione» (in questi termini ne aveva scritto all'amico Walter Benjamin) con
cui nel 1927, alla Bodleian di Oxford, si era imbattuto in un trattato
manoscritto: Magen Avraham («Lo scudo di Abramo»), a firma di Avraham
Miguel Cardoso, seguace dello pseudo-Messia Shabbetay Tzevi.
Senza indietreggiare di fronte allo scandalo della «apoteosi
negativa» di Shabbetay Tzevi – la sua conversione all'islam – e dei suoi
fedeli (i quali continuarono a credere in lui, convinti che fosse giunta l'ora
di un capovolgimento totale e di esse re ormai affrancati da ogni comandamento e
da ogni proibizione), Scholem riconosce «un elemento autenticamente ebraico nell'anelito
di quegli individui paradossali a ricominciare da capo», a «tornare alle
sorgenti originarie della fede ebraica»: e lo fa negli stessi anni in cui il
suo popolo si avvia verso la catastrofe
Note
Roberto Donatoni ha tradotto i capitoli 1-3, 10, 12-17;
Elisabetta Zevi ha tradotto i capitoli 4-8 e 11