Il
regime postale della Grande Guerra
Le lettere, in trincea, erano l’unica speranza, l’unico
modo di restare aggrappati a casa e di sentirsi più normali e lontani dall’inferno
in cui si combatteva ogni giorno.
Scritta o ricevuta, la corrispondenza di guerra doveva servire a questo e i
soldati in un primo tempo si prestarono all’illusione di potersi garantire
un salvifico mondo parallelo, in cui sfogarsi e rivelare il mondo attorno
che piano piano li rodeva nel fisico e nella mente.
Il piano dei comandi supremi non era soltanto quello di costringerli alla
prima linea e agli attacchi più rischiosi: prevedeva il loro controllo
ideologico, ma soprattutto l’intrusione nei loro affetti più privati, per
renderli sempre meno uomini liberi e sempre più soldati ammaestrati.
Fu così che nacque una guerra parallela, una guerra civile della libertà
di pensiero affidata a mastodontici apparati censori che presto assunsero il
ruolo di unico servizio postale per gran parte del Paese. Dal 1915 al 1918
la censura militare riuscì a setacciare quattro miliardi di lettere.
I sogni, le speranze, le denunce, i drammi di milioni di soldati furono
così "cestinati", sottratti alle famiglie per avviarli al
silenzio degli archivi censori che questo libro è tornato ad aprire.
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