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«Se ci arrivi in inverno o nella tarda estate, e scopri nel dedalo di
vicoli la sua strana e ombrosa ritrosia, capisci perché gli hanno dato
questo nome.
Fermo è un gioiello architettonico.
Qualcosa di arcaico che riesce a conservarsi come luogo antico delle radici.»
Ferracuti scopre la sua regione come le tessere di un domino.
Il racconto si inerpica dalla costiera con i suoi porticcioli di
provincia, su fino ad Ascoli e Fermo, si confonde nella scia di un treno
locale che sferraglia, si insinua nelle pieghe crude dell’attualità, tra
morti in fabbrica e sfruttamento delle ragazze dell’Est, esplora le case e
le vite di artisti, scrittori, attori che hanno attraversato gli stessi
paesaggi e come per un cortocircuito della memoria si tuffa nei giorni
dell’infanzia incontaminata, quando ancora non esisteva filtro tra l’io
e il mondo: «tempi di paura e di natura. Lontani, bellissimi.»
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