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Angelo Ferracuti

Viaggi da Fermo. Un sillabario piceno

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«Se ci arrivi in inverno o nella tarda estate, e scopri nel dedalo di vicoli la sua strana e ombrosa ritrosia, capisci perché gli hanno dato questo nome.
Fermo è un gioiello architettonico.
Qualcosa di arcaico che riesce a conservarsi come luogo antico delle radici.»

Ferracuti scopre la sua regione come le tessere di un domino.
 Il racconto si inerpica dalla costiera con i suoi porticcioli di provincia, su fino ad Ascoli e Fermo, si confonde nella scia di un treno locale che sferraglia, si insinua nelle pieghe crude dell’attualità, tra morti in fabbrica e sfruttamento delle ragazze dell’Est, esplora le case e le vite di artisti, scrittori, attori che hanno attraversato gli stessi paesaggi e come per un cortocircuito della memoria si tuffa nei giorni dell’infanzia incontaminata, quando ancora non esisteva filtro tra l’io e il mondo: «tempi di paura e di natura. Lontani, bellissimi.»