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Basta una breve indagine per constatare
che molte forme di vita contemporanee sono contraddistinte da quel che la
logica e la psicologia chiamano «ambivalenza».
Al riguardo il libro propone una tesi forte:
l’ambivalenza non è un dettaglio irrilevante per la nostra specie ma un
fenomeno chiave per comprendere, oggi più che mai, l’incastro tra
biologia e storia che contraddistingue la natura umana.
Quelle che, spesso con aria di sdegno, vengono definite credenze
contraddittorie («ti amo e ti odio», «il sapore acido del limone mi piace
e disgusta») indicano, innanzitutto, stati di incertezza.
La mancanza di orientamento automatico nell’ambiente non costituisce il
momento di stallo di un calcolatore impazzito, né rappresenta il
punto di appiglio per dire, secondo la moda post-moderna, che «tutto può
andar bene». L’ambivalenza, al contrario, è il dato di partenza biologico
che caratterizza la struttura del nostro comportamento. Lo stato d’animo
della melanconia ne costituisce la più vivida incarnazione emotiva, nel
bene e nel male.
Da un lato ha un volto rassicurante: sfrutta le potenzialità tipiche
dell’incertezza liberando le risorse immaginative della nostra vita
linguistica.
Dall’altro, però, può assumere connotati terribilmente foschi: se
protratto, questo stato di sospensione rischia di smembrare il linguaggio e
la prassi umana fino alla sua completa paralisi (come negli stati
depressivi) o alla sua caotica disarticolazione (ad esempio nella
compulsione maniacale)
L'autore
Marco Mazzeo (1973), dottore di ricerca
in Filosofia presso l’Università della Calabria, ha curato il volume Wittgenstein
50 anni dopo: corpo, sensibilità e linguaggio (ESI, 2001) e, insieme
ad altri, Linguaggio e percezione. Le basi sensoriali della
comunicazione verbale (Carocci, 2002). Ha pubblicato il saggio Tatto
e linguaggio. Il corpo delle parole (Editori Riuniti, 2003) ed è tra i
fondatori della rivista “Forme di vita” (Deriveapprodi).
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