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Oltre la perduta ter

CIBODDO PASQUALE

Oltre la perduta terra

Genesi editrice

Omaggio alla Sardegna. 
La città di Belluno, in un convegno organizzato dal Circolo Antonio della Lucia il 18 agosto 2010, ha proposto una serie di approfondimenti su ambiente e società della Regione Sarda attraverso l'opera letteraria di due scrittori Salvatore Niffoi e Raffaele Ciboddo. Offriamo il testo  della relazione del prof Oscar Bertaggia 

INTRODUZIONE
Svolgeremo un parallelo su 2 testi narrativi di 2 autori sardi contemporanei: Pasquale Cibbodo, Tre racconti fra Nord Sardegna e oltre, Carello, 2005 e Salvatore Niffoi, Il Bastone dei Miracoli, Adelphi, 2010. 
I due  narratori sardi mostrano certamente analogie di natura ambientale e tematica ma anche alcune differenze stilistiche e linguistiche: Cibbodo è della Gallura, quindi del Nord dell’isola con l’allungamento sino al Golfo dell’Asinara, zona aperta al mare e ad influenze corse e continentali, non soltanto italiche ma anche ispaniche; Niffoi, invece è della Barbagia, quindi della parte centrale della regione, isolata dal mare dalla catena del Gennargentu, un mondo chiuso e poco permeabile alle influenze esterne.

Il testo di Cibbodo, già dal titolo, è un trio di racconti, abbastanza lineare con storie d’impronta verista che vanno al di là del perimetro regionale (Austria, Corsica, Veneto) in cui grande storia e microstoria s’incontrano (I^ e II^ Guerra Mondiale) in un flusso continuo interno-esterno.

Il testo di Niffoi è più complesso: infatti, presenta da una parte una cornice a cui è demandata, in forma simbolica, il messaggio finale che il pater familias, Licurgo Caminera, vuole lasciare in eredità ai suoi figli e dall’altra la storia vera e propria, suddivisa in parti, secondo il numero di figli, che racconta la vicenda di Paulu Anzones, detto Muscadellu, una narrazione con caratteristiche da tragedia greca che in qualche modo mostra la metamorfosi subita dalla Sardegna negli ultimi cent’anni.

ANALOGIE E DIFFERENZE TRA LE DUE NARRAZIONI

 

In ambedue i testi, l’ambiente è quello agro-pastorale degli stazzi, delle tanche e dei greggi, per i quali ci sono furti, imbrogli, vendette e faide. La famiglia è quella patriarcale, fatta di figli/e, nuore, cognati, nipoti, familii, servi-pastori, tutti coinvolti nell’accumulo e nella difesa della roba che significa terra e gregge, veri indicatori di ricchezza in quel tipo di società arcaica, premoderna ma non più antica di 50 anni fa. Ma l’aria che si respira nelle 2 zone sarde è diversa: in Gallura, vi è solidarietà, accoglienza, dello straniero o del bandito (vedi l’austriaco del racconto"La borsa", oppure il corso "Santu Pieri", dell’omonimo racconto…), quasi una pietà evangelica e apertura verso altri mondi (Vittorio Veneto del racconto "Il rovescio della medaglia", la Corsica…); in Barbagia, invece, i rapporti sono di forza, di dominio, di sottomissione, in uno schema machiavellico: il nemico o lo elimini o te lo fai amico, così in effetti ragiona Muscadellu, personaggio al centro di una rete intricata di ricatti, di inganni, di rapporti personali e familiari molto tesi, dove gesti e parole hanno un loro codice, che indicano quasi sempre sfida, sottomissione o prevaricazione. La lotta è continua, sotterranea o aperta. Il Bastone dei Miracoli è il simbolo del comando e chi lo possiede decide la vita e la morte degli altri.

In ambedue i testi il valore di una persona si misura sulla balentia, che è il modus agendi dell’uomo impavido, che può andare al di là della legge scritta perché obbedisce a regole di onore di una legge non scritta, ma se nei racconti di Ciboddo questa è un modo per difendersi o per pareggiare le differenze, in Niffoi è la modalità del potente o del prepotente di turno.

Il tempo della storia e quello del racconto sono diversi nei 2 testi: in Ciboddo, grande storia e storia raccontata s’intrecciano, i grandi eventi del ‘900 entrano nel racconto che scorre con sequenze abbastanza lineari ma con finali inaspettati, a twist in the tale; in Niffoi,vi è da una parte il tempo della cornice iniziale, dove il vecchio Licurgo, nel presente, oramai moribondo, lascia un testamento con il suo "tesoro", accumulato nel corso della sua vita per indicare un futuro da lui auspicato ai suoi 6 figli: Ercole, Antigone, Ulisse, Elena, Penelope, Achille, e dell’altra il tempo narrativo che, pur avendo un collegamento con gli eventi del XX secolo, è un tempo mitico e a-storico, in cui eventi fantastici si mescolano con la Storia Contemporanea, come la divinità luminosa e claudicante che ha perso il Bastone dei Miracoli, che elimina i deboli e protegge i forti, oppure luoghi inventati, come Irichines, dove Muscadellu è il dominus impietoso.

Potremmo dire, trovando dei riferimenti letterari, senza forzare troppo la mano, che se Ciboddo richiama un certo verismo verghiano, venato di buoni sentimenti, dicevamo evangelici, in cui la caritas anche per i "cattivi" non manca mai, Niffoi, invece, evoca una sorta di realismo magico alla Marquez, per il gusto dell’esagerazione, dell’invenzione narrativa, impastato con la tragedia greca, la quale si mostra nelle scene cruente e nelle colpe che passano di padre in figlio, anche qui però, con un finale a sorpresa, che nega quasi la premessa iniziale.

Le tematiche più ricorrenti che caratterizzano i 2 testi sono quelle o dell’accumulo della roba, che si manifesta in allevamenti e proprietà, oppure della fama di uomo "balente", dove l’una richiama l’altra e viceversa. Tutti i mezzi sono consentiti per onorare i 2 valori, con l’unica differenza che nei racconti di Ciboddo le passioni e le azioni sono temperate da un certo timor di Dio,da un senso del limite, cosa invece che non si può dire del romanzo di Niffoi, dove le passioni e la azioni sono esasperate ed estreme nell’amore, nell’odio, nella vendetta, nella caduta e nel riscatto, tutto è s-misurato.

La struttura letteraria dei racconti galluresi potremmo definirla un documento di vita della comunità, in cui le storie mettono in risalto lo spirito dei luoghi, come Tempio Pausania e delle persone, come Sghelza e della civiltà degli stazzi, non chiuse in se stesse ma aperte al mondo esterno. La funzione di questi racconti è quella di dilettare di far conoscere questo mondo al lettore, non ha altri intenti. La struttura letteraria del romanzo barbaricino è molto più articolata, con la sua cornice e la storia pieni di riferimenti mitici. Il vecchio Licurgo Caminera lascia un testamento letterario ai suoi 6 figli, dai nomi omerici, dove c’è l’eredità immateriale che non si trova in natura e non si compra con moneta alcuna: è il romanzo che lui ha scritto nel corso della sua vita e che lo ha aiutato a superare il dolore dell’esistenza. Un romanzo che il vecchio ha suddiviso in 6 parti per ciascuno dei suoi figli e ogni parte è sigillata in una busta da aprire solo dopo la sua morte, per cui per avere l’intera storia di Muscadellu, i 6 figli devono leggerla e stare insieme. In questa cornice inusuale sta la funzione della letteratura secondo Niffoi, che non solo salva la vita ma anche la famiglia. Le parole di Caminera sono significative "A voi scoprire, col tempo, l’importanza di tenervi sempre uniti, come i frammenti della storia, che leggerete. In punto di morte vi domando di passarvi di padre in figlio queste pagine, di conservarle come reliquie e gustarle come il pane e l’acqua quando si ha veramente fame. L’uomo, se non legge e scrive, non è uomo, è un caprone che lascia dietro di sé solo laddara e piscio. Non c’è vita buona senza lettura, non c’è morte buona senza scrittura" e poi un’ultima richiesta del vecchio, quella di farsi seppellire assieme ai suoi libri preferiti: L’Iliade, l’Odissea e Mentre morivo di Faulkner. Il paradosso è che la storia di Muscadellu è che una dimostrazione ad absurdum della premessa contenuta nella cornice: la virtù machiavellica di Muscadellu è l’esatto contrario della virtù promossa da Licurgo Caminera, pertanto la storia è una messa in guardia ai suoi figli a non ricadere in quell’errore.

Il messaggio interno nei 2 testi, ricavabile dai finali a sorpresa delle varie storie, in sintesi si potrebbe dire che da un male o da una serie di mali ne può uscire un bene inaspettato (dal palazzo sporco di sangue di Paulu Anzones, detto Muscadellu al centro di recupero di Chiccu Anzones, suo figlio; da un omicidio un matrimonio in "La borsa.

Lo stile linguistico che i 2 autori adottano è quello di un’ intermittenza linguistica di italiano e lingue sarde: gallurese e barbaricino, ma con una differenza: se Ciboddo inserisce frasi e modi di dire dialettali su una base essenzialmente d’italiano creando un gioco di alternanza linguistica, in campi ben distinti, con l’aggiunta di un sentito amore per la propria parlata, in Niffoi, invece, l’italiano viene piegato al modo di dire dialettale, pertanto crea una nuova lingua, ricca di vocaboli barbaricini con metafore che risentono di quel mondo. Non a caso l’autore ha posto alla fine del libro un dizionarietto dei termini più usati in aiuto del lettore, diciamo che è un po’ come il siciliano di Camilleri. Ormai sembra essere una moda, si veda il più recente Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, con il veneto-pontino. Non dimentichiamo il padre fondatore della dialettizzazione dell’italiano, adesso così fashionable: appunto Giovanni Verga.

I personaggi principali nei 2 testi sono molti diversi tra loro. Nel Gallurese questi sono portatori di virtù solidali e caritatevoli: il bandito che si riscatta, la madre della vittima che aiuta la madre del colpevole, il figlio del perditore che sposa la figlia del ritrovatore ecc… il tutto in un’aureola di redenzione e di una fatale giustizia distributiva che sistema le cose. Nel Barbaricino i personaggi, dicevamo, sono anche portatori di virtù ma in senso machiavellico, nel senso che prevaricazione, inganno, volontà di potenza, minacce, ricatti e violenze, faide la fanno da padroni e colui che meglio di ogni altro impersona tutto questo è Muscadellu, ma anche i suoi amici e le sue vittime non sono da meno, lui è solo più spietato, per cui l’azione è sempre rivolta a colpire l’altro o per abbatterlo o per renderlo inoffensivo oppure nel migliore dei casi farlo strumento dei propri interessi o piaceri, si vedano i rapporti tra Muscadellu e Chiccu o Muscadellu e Rosedda.

 

CONCLUSIONE

 

La riflessione più o meno coerente finora svolta ci conduce alla domanda: quale Sardegna emerge dalla lettura dei 2 testi? La risposta è una Sardegna varia, sfaccettata, noi ne abbiamo viste 2 che hanno analogie ma anche differenze profonde nei livelli sopra descritti. Un Sardegna da una parte accogliente, interessata agli altri ed un’altra più impermeabile, ancora vittima del proprio passato. La tradizione non va né assolutamente negata altrimenti non sappiamo chi siamo, perché perdiamo la nostra identità, ma non va neanche assunta acriticamente, sennò non sappiamo dove andare perché non sappiamo cosa c’è al di là, visto che siamo troppo concentrati nell’al di qua, bisognerebbe, e i 2 autori lo fanno anche se con modalità diverse, rivedere la tradizione con gli occhi della contemporaneità, e vedere criticamente cosa può offrire la tradizione all’uomo d’oggi. Urge seguire la lezione di Nietzsche come sulle "Considerazioni inattuali sull’uso della Storia", in cui la storia deve essere metabolizzata e servire alla vita, quindi questa va conosciuta, interpretata e rivissuta con occhi attuali, attraverso una corretta lettura ermeneutica. La storia non deve essere né un monumento né un archivio ma una sorgente per una vita equilibrata tra dionisiaco e apollineo, tra oblio e orizzonte, tra passato e futuro. La letteratura, in particolare la narrativa, può svolgere un ruolo chiave in tal senso.

Il Gallurese ci prova con un invito da una parte ai non sardi a guardare e leggere cose sarde, perché l’identità di uno non nega quella dell’altro, anzi lo richiama indirettamente alla sua, portandolo ad utili confronti e dall’altra ai sardi a riscoprire la propria lingua e la propria storia con occhio critico che vada oltre la propria terra, come i 3 racconti ci mostrano. Il Barbaricino fa un discorso più complesso e la figura di Muscadellu, "eminedda" ma allo stesso tempo uomo "balente," indica la situazione equivoca della Sardegna attuale, la metamorfosi subita in questi ultimi cent’anni, passando da una povertà quasi totale, Muscadellu all’inizio è l’ultimo degli ultimi, ad uno sviluppo in senso pasoliniano senza limiti, da raggiungersi a qualsiasi costo, Muscadellu con il Bastone dei Miracoli. La sua storia è un avvertimento per tempo per la storia futura della Sardegna.

 

Belluno, 18/08/2010

 

Oscar Bertaggia.

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Data ultimo aggiornamento: Lunedi' 6 dicembre 2010