«C’è stato qualche altro caso di malattia mentale nella vostra famiglia?».
Comincia con questa domanda, rivolta da un assistente sociale dello Yorkshire, questo straordinario, commovente viaggio interiore di Alan Bennett.
Da qualche giorno l’anziana madre è ricoverata in un istituto psichiatrico per una grave forma depressiva – così almeno la definiscono.
Comunque sì, ci sono stati altri casi in famiglia, ma lui non lo aveva mai saputo.
È il padre a svelare per la prima volta,
in un atto burocratico e liberatorio, la fine drammatica e segreta del nonno di Bennett, e a indurlo a esplorare le storie nascoste e dimenticate degli altri parenti.
Ma come si distingue la malattia mentale dalle manie, dalle fobie, dal silenzio, dall’infelicità?
Da parte di uno scrittore che in passato non poteva «neanche togliersi la cravatta senza prima far circondare la casa da un cordone di polizia», un libro come questo è un dono prezioso e inaspettato.
Solo di recente, infat
ti, Alan Bennett ha sentito il bisogno di dedicarsi a quell’attività vagamente disdicevole che è lo scrivere di sé.
Cambiando tonalità, forse, rispetto agli scritti esilaranti e feroci che gli hanno dato la celebrità, ma sempre con lo stesso sguardo acuminato e instancabile.
Uno sguardo di un’onestà dolente, poco caritatevole soprattutto verso le sue manchevolezze.
E l’umorismo?
Sotteso – o forse sospeso – in ogni pagina come uno strumento di interpretazione insostituibile, col quale
ci si può destreggiare anche fra le tragedie della vita e della senilità.
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