Il capitalismo è entrato in un'epoca di distruttività radicale. Dissolve le strutture della società, cannibalizza gli strumenti della democrazia, desertifica il senso della vita.
Viviamo in una delle più paradossali società che la storia umana abbia mai edificato nel suo lungo cammino.
Una ricchezza straripante che dilaga dappertutto e la condanna alla marginalità degli uomini e delle donne che la producono. Oceani di beni intorno a noi, che non servono però a dare tempo di vita, non ci libera
no dalla precarietà, ci gettano nell'insicurezza, obbligano a un lavoro crescente, a rapporti umani definitivamente mercificati e privi di senso.
Il culto dell'individualismo esorta al consumismo solitario di prodotti effimeri, degrada l'ambiente che abbiamo intorno, danneggia l'habitat sociale comune, è in conflitto con l'interesse generale.
Paradossalmente, mentre spinge alla solitaria soddisfazione di ognuno, compromette alla radice la possibile felicità di tutti. È altra invece
la direzione di marcia richiesta da un approdo più avanzato di civiltà.
L'utilizzo dei beni comuni richiede non il possesso, ma la condivisione d'uso, non la predazione individuale, ma il godimento collettivo. Tale nuova dimensione pubblica della ricchezza deve oggi trovare il linguaggio che l'esprime, le parole capaci di raccontarla.
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