Ogni definizione che possiamo dare dell’uomo è, in fondo, anche una definizione che diamo di noi stessi.
Ma possiamo immedesimarci nell’immagine di un uomo che non nasce, non cresce, non si ammala, non soffre, non perde mai l’esercizio delle sue facoltà e non si trova mai ad accudire altre persone che, come lui, attraversano queste esperienze?
La cultura moderna ci ha consegnato il mito antropologico della soggettività autonoma, libera e responsabile e ha relegato nelle pieghe residuali d
el pensiero i problemi che vengono sollevati dall’esperienza umana che si svolge nel tempo, creando un vocabolario adatto per rendere marginale ogni altro modo d’essere dell’umano: è il linguaggio che ha coniato espressioni come quelle di handicappato, invalido, disabile, per poi culminare nella formula ipocrita, ma politicamente corretta, del diversamente abile.
Questo libro intende, invece, fare i conti con la condizione umana assumendo un’altra prospettiva. Malattia, dolore, sofferenza, post
e in relazione con l’ambiente (fisico, culturale, politico, sociale) condizionano la possibilità di realizzazione di ognuno di noi e finiscono con l’impattare sul senso stesso della partecipazione, della cittadinanza e della nostra auto-rappresentazione: questa relazione è ciò che oggi l’OMS e la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute intendono con il termine disabilità.
Sulla scorta di tale definizione, il volume ripercorre alcuni temi classici dell’a
ntropologia filosofica proponendosi di fornire una più adeguata comprensione dell’esperienza umana.
L'autore
Adriano Pessina (Monza 1953), è ordinario di filosofia morale, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Bioetica e Filosofia della persona nella Facoltà di Scienze della formazione, ed è membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita.
|