Dopo la saga dei Cinque libri di Isacco Blumenfeld e la straordinaria epopea di Shanghai addio, Angel Wagenstein fa rivivere un altro universo scomparso: la Plovdiv della prima metà del Novecento, quando era una delle più belle e cosmopolite città dei Balcani.
Attraverso il personaggio di Berto Cohen – ebreo bulgaro esiliato in Israele che ritorna nel proprio Paese natale per un congresso di bizantinistica – l’autore ricorda con viva tenerezza il complesso microcosmo in cui è nato e cresciuto e
dove convivevano lingue e popoli diversissimi.
Il filo rosso della nostalgia, con l’amore giovanile per una ragazza armena, Araxi Vartanian, si intreccia a un ritratto senza sconti della Bulgaria contemporanea e a una rilettura del destino millenario del popolo ebraico svolta sempre con humour e partecipazione: dalla cacciata dalla Spagna nel 1492 al conflitto israelo-palestinese passando per la Shoah e il salvataggio miracoloso degli ebrei bulgari durante la seconda guerra mondiale.
Su tutto il romanzo troneggia la figura indimenticabile del patriarca Abramo, «l’ubriacone» del titolo, nonno di Berto e geniale affabulatore che di volta in volta sostiene di avere camminato sulle acque della Galilea con Gesù Cristo, attraversato le Alpi a dorso d’elefante in compagnia di Annibale, o di avere affondato da solo la flotta turca per conto dei veneziani.
È lui il testimone privilegiato del crepuscolo che a poco a poco è calato su questo nascosto angolo dei Balcani.
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