Molti guru giurano che il capitalismo sta per lasciare il campo a un nuovo modo di produrre, a una società in cui mezzi di produzione e chance di arricchimento saranno ampiamente ridistribuiti, mentre levecchie gerarchie lasceranno il campo ai network orizzontali di produttori-consumatori.
Ma se osserviamo la realtà vediamo un altro panorama: crollo dei redditi e dei livelli occupazionali di classi medie e lavoratori della conoscenza, concentrazioni monopolistiche, inasprimento delle leggi sull
a proprietà intellettuale, balcanizzazione del Web - ridotto a un arcipelago di riserve di caccia aziendali.
L’autore presenta una tesi radicale: Internet non ha "ammorbidito" il capitalismo; ne ha al contrario esaltato la capacità di cavalcare l’innovazione per sfruttare la creatività e il lavoro umani.
Per i (falsi) profeti della rivoluzione digitale l’obiettivo è allevare una generazione di lavoratori della conoscenza flessibili, disciplinati e convinti di vivere nel migliore de
i mondi possibili.
Felici e sfruttati.
Con l’avallo anche di una sinistra che teme di prestare il fianco ad accuse di nostalgie classiste.
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