C’è un lato oscuro nella storia dell’alpinismo, un lato poco noto ma che spesso è avvincente quanto il racconto delle grandi salite, e consiste nel resoconto degli strascichi giudiziari di tante fra le imprese più eroiche e gloriose.
A partire proprio dall’alba dell’alpinismo moderno, datata convenzionalmente nel 1786 con la salita sul Monte Bianco del cercatore di cristalli Balmat e del medico Paccard, su invito dello scienziato de Saussure che aveva promesso un premio a chi per primo avesse t
rovato una via per salire su una vetta considerata inviolabile.
Balmat riuscì ad assicurarsi il merito della salita (e il premio) e Paccard rimase a bocca asciutta: la vertenza, fra dichiarazioni giurate e memoriali più o meno attendibili, andò avanti per più di cento centocinquant’anni.
Un secolo dopo, alla conquista del Cervino da parte dell’inglese Whymper fece seguito un’inchiesta per stabilire se i «vincitori» avessero letteralmente tagliato a corda durante la discesa, provoca
ndo la morte di quattro compagni di cordata.
Più note le vicende relative alla spedizione italiana che portò alla conquista del K2 nel 1954, con Compagnoni, Bonatti e il CAI impegnati per anni dentro e fuori dai tribunali, così come, del resto, quelle di Reinhold Messner che nel 1970 aveva effettuato con il fratello Günther la prima salita della Parete Rupal alla «montagna del destino» dei tedeschi, il Nanga Parbat.
Augusto Golin racconta imprese e processi, salite e sentenze con lo stes
so stile brillante e avvincente, lasciando al lettore il giudizio sul lato meno eroico di quelli che ci sembrano – e per tanti versi sono – uomini straordinari.
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