Nell’ampio dibattito che durante il XIX secolo si sviluppa entro il mondo cattolico italiano sul tema dell’unità nazionale, della sua configurazione istituzionale, delle modalità per il suo conseguimento, la posizione di Antonio Rosmini si caratterizza per la consistenza delle sue basi filosofiche e insieme per la problematicità e i dissensi che ne sono derivati.
Condannato all’Indice prima, discusso in vita e post mortem, proclamato infine beato nel 2007, il sacerdote roveretano sul piano poli
tico e civile si distingue per un forte e sincero spirito di italianità che lo induce, lui formalmente suddito austriaco, a considerare il Piemonte come sua seconda patria.
Ma su quali basi giungere all’unità nazionale?
La risposta di Rosmini si iscrive nel vasto disegno di un articolato e complesso sistema dottrinale ove religiosità, centralità della persona, nazionalità, statualità, progetti di carte costituzionali, monarchia, repubblica, famiglia, proprietà economica, varietà e autono
mie territoriali sono altrettanti tasselli concettuali che debbono confrontarsi con le condizioni reali cui l’Italia soggiace dopo che Rivoluzione francese e Restaurazione hanno impresso il segno del loro passaggio sul profilo politico e culturale del continente europeo.
È questo il quadro nel quale si delinea l’ipotesi rosminiana di un federalismo capace di aggregare l’Italia, lungo un percorso teorico ove conservatorismo, liberalismo, tradizionalismo controrivoluzionario cercano il terreno di
una difficile composizione.
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