Lazzaro, l’amico di Gesù, è malato.
Marta e Maria, le sorelle, lo mandano a dire a Gesù. «Signore, ecco, il tuo amico è malato». Udendo quelle parole, Gesù dice: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato» (Giovanni 11,4). Lazzaro però morì, dunque la sua malattia era mortale. Eppure quella malattia non fu per la morte, non fece il gioco della morte, perché divenne fonte di fede. Se quella malattia non è per la morte
, c’è nella nostra epoca una malattia che sia per la morte?
C’è, risponde Kierkegaard, ed è la disperazione. La disperazione è il peccato dell’uomo contro il mondo, contro gli altri, contro Dio. È la malattia dello spirito, del sé, la malattia che fa desiderare la morte pur tenendo sempre in vita, pur condannando sempre alla vita. Per questo la disperazione è per la morte, è a servizio della morte senza essere mortale, fa vivere la morte senza concedere la morte. La malattia per la morte, pu
bblicata nel 1849, è un’insuperata fenomenologia della disperazione, e descrive una parabola che va dalla disperazione che non sa di essere tale alla disperazione che sa se stessa e sfida il mondo e Dio. È il capolavoro di Kierkegaard, in cui i fili della sua riflessione psicologica, teologica e filosofica trovano la più alta e compiuta formulazione.
A distanza di oltre sessant’anni dalle traduzioni italiane ancora correnti, apparse tutte con il titolo fuorviante de La malattia mortale,
l’edizione Donzelli, corredata da un ricco apparato critico, si propone di offrire l’opera al dibattito filosofico, psicologico e teologico italiano in termini radicalmente nuovi, scrostandola dei fumi e dei ritocchi che finora ne hanno oscurato la forza e la bellezza.
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