Descrizione | |
«Volevo tacere. Ma il tempo mi ha chiamato e ho capito che non si poteva tacere. In seguito ho anche capito che il silenzio è una risposta, tanto quanto la parola e la scrittura. A volte non è neppure la meno rischiosa. Niente istiga alla violenza quanto un tacito dissenso»: sono le parole che Márai incide sulla soglia di questo libro bruciante. Un libro di cui nel suo diario dice: «Non voglio che questa triste confessione, questo atto d'accusa nei confronti della nazione ungherese, venga letto anche da stranieri». Tant'è che si era deciso a pubblicarne solo una parte (la seconda: Terra, terra!...), e solo nel 1972. Un «testamento tradito», dunque? Non c'è dubbio. Come non c'è dubbio che (non diversamente che in altri, notevolissimi casi) ne sia valsa la pena: perché qui – in uno stile asciutto ed efficace, che non cela tuttavia l'amarezza di fondo – Márai racconta gli anni che vanno dall'Anschluss (quando lui era ancora un autore e un giornalista famoso) al giorno in cui i Carrarmati tedeschi varcarono i confini ungheresi nel marzo 1944, e spinge lo sguardo fino ad altri giorni ferali: l’arrivo dei sovietici nel 1945, la scelta dell’esilio nel 1948. In quegli anni «una sorta di nebbia gialla era calata sugli occhi di una società in preda all'amok», una società che continuava a cullarsi in una «speranza autoingannatoria» senza rendersi conto di vivere «su un pantano ribollente sotto cui gorgogliava un vulcano». Il grande romanziere delle Braci ci consegna in queste pagine una appassionante testimonianza, ch e abbaglia per il modo in cui unisce la malinconia del ricordo alla precisione e all'acutezza delle analisi storiche. | |
Scheda creata Venerdi' 12 maggio 2017 | |
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