La collana Narrativa | |
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2 volumi in cofabetto: * Crimini e misfatti ** Incubi ------------------- COME avrebbe raccontato, Dino Buzzati, il passaggio del messo infernale a San Giuliano, in Molise? Forse con le stesse parole che nel 1947 sottrassero la tragedia di Albenga - i 43 bambini annegati - allïimprecazione come alla morbosità, consegnandola alla letteratura, la sacralità che la letteratura - unica - testimonia, magnificando il senso: "Mai la morte aveva chiuso in un quadro così compatto e inesorabile il suo trionfo. (...). Un Gesù in croce abbandonato al peso del corpo e con le braccia tese su in modo spasmodico era posto sopra lïimmenso capezzale dei 43 innocenti. E anche lui, sebbene ciò sia assurdo, sembrava non capire il perché". Inviato principe (predestinato) nellïassurdo, soprattutto in quella suprema incarnazione dellïassurdo che è la morte: questo fu Dino Buzzati "cronista". Ecco raccolti i suoi viaggi per il "Corriere della Sera" e il "Corriere dïInformazione" nella "Nera", tra incubi, crimini e misteri (e "I segreti della MM"?). Il ritratto di unïItalia "minore" (ma non solo entro i confini - ci sono i minatori di Marcinelle, gli aviatori trucidati in Congo...-, e non solo lïItalia: dalla "belva di Buchenwald" agli attentatori di de Gaulle, allïassassinio di Kennedy), una sequela di ex voto, là dove, a essere salvata, è la tenebra che avvinghia il mondo, di "abominevole capolavoro" in "abominevole capolavoro". Salvata - ossia narrata, identificata, identificata narrandola, la narrazione che è interpretazione - perché si sappia, non si dimentichi: la Bestia è sempre in agguato ("Lïombra del male scivola intorno a ciascuno di noi e ci potrebbe toccare", lïombra appostata "come un cipresso antico"); se infine la Bestia non prevarrà sarà perché avrà potuto smisuratamente pascere. Fra i "portieri delle tenebre", risalta Dino Buzzati. Un occhio, il suo, vorace, esatto, ludicamente efferato, visionario, qual è lïocchio dellïinnocente. Come una figura di Guido Piovene, un altro impavido esploratore veneto, lïalter ego del tenente Drogo potrebbe ora affermare, accaduti gli eventi, estremo evento il suo passo dïaddio, giusto trentïanni fa: "Mi divertivo a stabilire quali oggetti abitassero nel Cielo e quali nellïInferno. Tutto ciò che vedevo cresceva naturalmente in uno di questi due regni, che erano quasi confusi uno nellïaltro, e nei quali passavo come da unïaria tiepida a unïaria fredda". Eï metafisico il radar di Buzzati. Le barche affondano, i fucili sparano, le spranghe massacrano, i pugnali squarciano, i treni stritolano (ma dal cornicione pure ci si ritrae) obbedendo a volontà superiori, inafferrabili, occulte. Forze arcaiche, ancestrali, che i moderni si arrabattano a dileggiare o a ignorare. Mentre il signore dei Tartari non esita a nominarle: "Una specie di demonio (il caso Rina Fort, la donna che sterminò a Milano nel novembre `46 la famiglia dellïamante, ndr) si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue". E la "frana demonio" del Vajont. E il "nefasto demone" che scatena lïira automobilistica... "Naturaliter cristiano (anche se pagano come tutti gli artisti)" - secondo la definizione montaliana -, lïinvestigatore dïanime Dino Buzzati in ansia "per i bambini morti senza sacramento" afferra nelle coscienze la radice del male. Come testimonia lïimmaginario dialogo - un lacerante esame di coscienza - con "un poco pazzo commissario in pensione" intorno alla strage di piazza Fontana: "Io, augurando la malora a chi la pensava al contrario di me, costruivo, di quel demonio, qualche migliaio di cellule, tu gettando la maledizione su chi ti offendeva o umiliava costruivi del demonio un dito della mano, lui desiderando la rovina, lo squartamento, la morte di chi era più fortunato di lui, costruiva del demonio un ginocchio, il pancreas, il naso, e a poco a poco, odiando, pezzo per pezzo lo abbiamo messo al mondo". Buzzati esorcizza il Male trasformandolo in favola, così allontanandolo dal qui e ora, relegandolo in una dimensione remota. Eppure assolutamente prossima. Come capì il commissario tecnico della Nazionale azzurra Vittorio Pozzo: "Nellïatto di entrare nellïobitorio per il riconoscimento delle salme (il Grande Torino caduto a Superga, 4 maggio 1949, ndr), appariva - dico appariva - stranamente tranquillo. La verità è che ancora nessuno ci credeva". Da: "La Stampa", 16/11/2002 Sezione: Tutto Libri Pag. 5 | |
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