"Le ceneri di mia madre, di mio padre, di Paolo, Roberto e Giorgio sono ad Ausschwitz. Maria Luisa è finita in una fossa comune. Di Bice ignoro il luogo di sepoltura" ....Un manoscritto ritrovato. Pagine battute a macchina, conservate per quasi mezzo secolo in una cartelletta rossa, senza una cancellatura, perfette. Dieci anni dopo il ritorno a casa, dopo il ritorno alla vita, Piera Sonnino ha trovato il coraggio, la misura, la forza per sublimare la tragedia in racconto. La tragedia della deportazione e dello sterminio di tutta la sua famiglia - i genitori, i tre fratelli e le due sorelle- nei campi di concentramento nazisti. Pagine straordinarie per la precisione e la forza della scrittura, per la capacità di restituire l'accerchiamento quotidiano e metodico, l'erosione degli spazi di libertà e dignità umana subita dagli ebrei italiani dopo le leggi razziali del 1938, fino alla catastrofe finale di Auschwitz. Dopo lo sfollamento da Genova, quella della famiglia Sonnino è la storia di una fuga sul posto, col terrore che incalza e costringe a una aradossale immobilità. Piera la rilegge alla luce dell'antica rassegnazione a subire quasiasi torto, a occupare il minor spazio possibile su questa terra, che segnò il destino degli ebrei. Nel raccontare l'arrivo ai campi di sterminio, la scrittura sprofonda in un mare di fango, una "dimensione totalmente nemica di tutto ciò che è umano, una dimensione che ha assorbito perfino i propri creatori". Ma la forza della testimonianza si solleva da quel fango, il diario privato si fa voce universale e riesce a dare un nome a quanto non può essere nominato. La memoria, attraverso la parola, strappa qualcosa al gorgo della dissoluzione e del male. | |
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