La collana | |
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Maria Elisabetta Hesselblad (1870-1957) appartiene a quella grande schiera di testimoni che Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente riunisce nell'"ecumenismo dei santi". Svedese, luterana, afferrata da Dio fin dall'infanzia nell'icona evangelica dell'"Unico Ovile", vive un'anticipazione singolare e moderna nel servizio che tutta la sua vita offre all'umanità e alla Chiesa: la diakonia dell'Unità. Dimentica di sé e attenta alle esigenze dei familiari, affronta ragazza diciottenne l'emigrazione in America; si costruisce con fatica una professionalità di infermiera che esercita sempre rivolta ai poveri, ai sofferenti. Quelli che sembrano sbarramenti, si stringono invece in un rettifilo che, dalla prima esperienza infantile, la conduce all'esperienza di donna matura: la casa di Santa Brigida a Roma. Perché? Lo Spirito Santo la sollecita a diventare cattolica, a dimenticare le proprie gravi malattie e ad affrontare un progetto, folle agli occhi di tutti ma non a quelli di Dio: in quella casa far rifiorire una vita monastica spesa per la Svezia e per la passione ecumenica. La sua diakonia, eccezionale, la via del martirio "bianco", deve diventare diakonia, normale, oggi per tutti i cristiani: l'Unico Ovile cui ci conduce Giovanni Paolo II in "un esodo senza ritorno", perché "l'ora dell'Unità è scoccata!" (M.M. Tekla). | |
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