Qual è la parola che parla la morte? Qual è lo sguardo che si fissa in quell'interstizio in cui il tempo sembra raggrumarsi e diventare una striscia sottile, il limite tra essere e non essere? Ricoeur, Jankelevitch, Levinas hanno dichiarato lo scacco della filosofia di fronte alla morte di cui essa letteralmente non dice nulla. Una domanda metafisica che la filosofia e la metafisica non sono in grado di formulare, ma che non è possibile comunque aggirare perché, come dice Hermann Broch, "chi ha dato figura alla sua morte con ciò a dato figura a se stesso". Ci troviamo dunque di fronte ad un grande problema filosofico che da sempre, ma esplicitamente nel moderno, ha attraversato la poesia e l'arte, che hanno trovato nel compito di dare figura a questo infigurabile una delle loro più grandi ragioni, che si fa nitida e stringente nei testi di Baudelaire e di Valery e di Rilke presentati in questo libro. Fino a che punto è possibile ipotizzare che al fondo di ciò che non ha espressione vi sia proprio ciò che determina il nostro destino umano come il destino dei mortali ? | |
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