Descrizione | |
Il settimo libro di Camilla Lackberk non delude certo le attese di chi da qualche tempo si è immerso nelle trame del romanzo nordico svedese, di cui l’autrice è sicuramente l’esponente più acclamato. Un noir che dalla trama potrebbe sembrare agghiacciante, ma lo stile dell’autrice rende leggibile anche ai non appassionati di questo filone letterario I personaggi rispondono in tutto agli archetipi del romanzo giallo in stile svedese: la pazzia, il suicidio, la droga, la violenza e appena accennato, ma cogente, un sottofondo fantasy, fatto attraverso la rievocazione storica, in una decina di pagine alternate per capitoli nel romanzo, di una famiglia che nell’Ottocento abitò, da sola, l’isola di Gråskär che aveva fama d’essere terra di fantasmi. L’isola farà da sfondo a gran parte della trama. Sarà, ancora una volta l’acume investigativo di Erika Falk, madre di tre figli e scrittrice di romanzi gialli a dare la svolta alle indagini condotte da suo marito Patrich capo della polizia locale. L’incipit del romanzo non lascia spazio a nessuna divagazione, entra prepotentemente nella trama. “Si accorse di avere le mani insanguinate solo quando, mettendosi al volante, sentì che i palmi si appiccicavano alla pelle che lo rivestiva (…) Lanciò un’occhiata al sedile posteriore. Sam dormiva avvolto nella coperta” Era Annie e suo figlio Sam di cinque anni. Annie fu compagna di scuola di Erika Falk. Una foto scolastica come descritta a pagina 121. “Era seduta in prima fila, con le gambe spavaldamente accavallate. Tutti gli altri si sforzavano di mettersi in posa, mentre Annie sembrava essersi semplicemente seduta. Eppure era lei ad attirare gli sguardi. Aveva lunghi capelli biondissimi, luminosi, dritti senza frangia. Lei era l’originale e tutte le altre semplice copie. Cavolo, pensò Erika quanto è bella.” Passano gli anni, Annie è tossica. Pag. 425 “Aveva giurato di non lasciare mai che succedesse qualcosa di brutto (al suo bambino). Per molto tempo, da vigliacca, non era riuscita a mantenere la promessa, ma da quella notte era stata forte. L’aveva salvato. Lentamente si spostò verso l’acqua più alta. I jeans le s’incollavano alle gambe, attirandola al largo e verso il fondo. Sam buonissimo era immobile tra le sue braccia.” Su gran parte del romanzo aleggia, poi, una figura di sicura integrità morale: Matte, come lo chiamano i genitori; di lui si ode un continuo risuonare di lodi da quando è vittima di un omicidio inspiegabile. Nel giallo è solo la vittima. Su lui, purtroppo, le indagini della polizia addensano il sospetto di coinvolgimento nel traffico di droga. Suo padre non reggerà all’accusa e si ucciderà, la mamma andrà fuori di senno. Avevano un unico figlio: il senso della loro vita. Da ultimo pare interessante dar conto della storia di quella “famiglia” che abitò l’isola deserta nell’Ottocento. Pagina 141. “I morti rappresentavano la sua sicurezza, l’unica compagnia in quell’isola solitaria, e il loro dolore era in armonia con il suo. Neanche la loro vita si era rivelata come se l’aspettavano. Si capivano a vicenda, sebbene i loro destini fossero separati da muro più spesso che ci fosse: la morte.” E’ Emelie che parla, a sua insaputa sposa di un gay, costretto al matrimonio da suo padre, che nell’isola si trascina il compagno. Quella povera donna subirà dai due ogni sorta di sopruso. Con qualche malizia la nostra autrice, di fatto, mette in risalto il dolore e il terrore di quella donna dell’Ottocento che costringeva al nascondimento l’omosessualità con un’altra “famiglia” di due donne che, insieme, nel romanzo, vivono beatamente con un figlio. | |
Scheda creata Martedi' 16 giugno 2015 | |
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