«Origene è, con Sant’Agostino, il più grande genio del cristianesimo antico» – ed è, sicuramente, anche «uno dei personaggi dell’antichità su cui siamo meglio informati» (Daniélou).
Della vastissima produzione che ci è pervenuta del teologo alessandrino (Alessandria d’Egitto, 185 – Tiro, 254 d.C.) il Commento al Vangelo di Giovanni, composto tra il 225 e il 235 d.C., rappresenta l’espressione più sistematica e compiutamente organica del suo pensiero. La stesura del commentario fu suggerita ad Origene dall’amico Ambrosio, pagano convertito al cristianesimo, con lo scopo di proporre un’interpretazione “ortodossa” della teologia giovannea, contro l’interpretazione gnostico-valentiniana di Eracleone. Origene interpreta il quarto Vangelo interamente alla luce della tradizione platonica, determinando, in questo modo, un’evidente confluenza del neoplatonismo e della filosofia tardo-antica nel paleocristianesimo. Commentando particolarmente il Prologo, deduce una struttura teologica, che sarebbe impensabile senza il riferimento alla henologia neoplatonica: come l’Essere proviene dall’Uno, che è al di là dell’Essere, e nell’Uno ritorna necessariamente, così il Figlio proviene dal Padre, che è l’Uno, e in lui sempre ritorna. La henologia neoplatonica diventa così, per Origene, l’architettura teoretica con cui costruire una “teologia del Logos” come “teologia dell’immagine” e per poter pensare il ritorno dell’anima a Dio, ossia del Figlio al Padre – quella che Origene definisce l’“apocatastasi” – come henosis, ossia come “farsi uno con Dio” – «Dio sarà tutto in tutti» (I Cor 15, 28). Il Commento a Giovanni, in questo senso, non si costituisce solamente come un’opera altamente apologetica, ma soprattutto come uno dei più grandiosi tentativi di sistematizzazione e di fondazione filosofica del pensiero cristiano che il mondo tardo-antico abbia avuto. | |
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Data ultimo aggiornamento: Mercoledi' 21 marzo 2012 |