La rappresentazione sociale delle emozioni che attraversano un gruppo umano è la chiave interpretativa per cercare di comprenderne le dinamiche più profonde.
Nella società liquida del mercato globale dilaga la paura di massa, l’altra faccia della corsa sfrenata verso il godimento ed il consumo di merci che seducono con il loro fascino. La paura cresce con la frustrazione del godimento, ma non trova alcun tentativo di spiegarne le ragioni più profonde. Se si va più a fondo, oltre il velo della paura, si scopre che l’umanità è attraversata da una diffusa angoscia di morte, determinata da uno sviluppo economico che priva il mondo della sua realtà e rende solitaria la vita di ciascuno. La dissoluzione della realtà del mondo e lo scioglimento di ogni vincolo affettivo sono il “lutto” negato dalla paura di superficie, che può essere ritrovato andando a fondo per riscoprire le angosce rimosse. L’angoscia di morte è riesplosa nella modernità con la terribile vicenda dell’Olocausto, che ha mostrato come le spinte distruttive degli esseri umani possano portare all’ecatombe; nella dialettica dell’Olocausto con la realtà capitalistica si manifestano le antiche pulsioni di morte che hanno avuto la prima messa in scena nel parricidio e nel figlicidio della tragedia greca. Il capitalismo, come strutturazione economica dei processi di distruzione creativa e di creazione distruttiva, ha rimosso le dinamiche profonde della psiche umana, spegnendo la speranza che consentiva la trasformazione di ogni catastrofe nella progettazione di un nuovo futuro. Si è cancellato il nesso crisi/speranza perché si è cancellata ogni idea di trascendenza. Affinché emerga la speranza è necessaria un’elaborazione del dolore, in una ricerca di alternative al presente, che ricostruiscano un legame tra persona, mondo e trascendenza. | |
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Data ultimo aggiornamento: Lunedi' 14 maggio 2012 |