Tra tutti i profeti dell’Antico Testamento, la figura di Geremia è senz’altro la più singolare e, al tempo stesso, la più vicina alla passione redentrice di Gesù. La più singolare perché, a differenza degli altri profeti, in lui traspare un forte individualismo e un’enorme distanza tra la persona, “piccola”, timida, incerta, e la missione a cui è chiamato, assolutamente impari alle sue forze.
Ma è anche la figura più vicina a Cristo perché la sua vicenda finisce male, in esilio, così come la vicenda terrena del Figlio di Dio finisce su una croce, con un lamento (“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”), simile a quello di Geremia, quando dice “Perché mai sono uscito dal grembo, per vedere affanno e dolore, sì che i miei giorni finiscano nella vergogna?” (Ger 20,18). Tutto questo traspare chiaramente nelle “Confessioni” del profeta, cinque brani posti all’interno dei capitoli 11-20 del libro biblico, su cui Gianni Barbiero propone alcune interessanti meditazioni. Questi brani, scrive l’autore nella prefazione, “sono come il diario intimo della sua vocazione, delle sue lotte con il Signore che lo chiama, delle sue crisi, della sua voglia di piantare lì tutto ed essere un uomo come gli altri”. Quello di Barbiero è un testo di alta divulgazione biblica: la traduzione dei brani, situati nel loro contesto canonico, è fatta in modo originale e si discosta in diverse parti dalla nuova traduzione CEI, preoccupandosi di cogliere il senso letterale e di sciogliere la forte complessità del libro geremianico. Ma la forza delle meditazioni di Barbiero è che esse coniugano l’esigenza “accademica” a quella spirituale, e colgono nella vicenda di Geremia la storia vocazionale di ogni credente. Come il profeta di Ananot, anche il cristiano è un “chiamato”: e ogni chiamata determina, prima o poi, dei momenti di crisi e di dubbio. | |
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Data ultimo aggiornamento: Sabato 15 settembre 2012 |